Intrecci.
amicizia.
questo sentimento vituperato, sbandierato, agognato, spesso sopravvalutato. generante
delusioni, ma pure solide verità.
spesso mi capita di chiedermi chi siano gli amici. persone disparate, mai uguali tra di loro,
ma tutte con la comune capacità di un solo obbiettivo: farci sentire bene. che a volte
significa farci sorridere, a volte ragionare, litigare, pure, ma sempre e solo per la nostra
felicità.
posso dire di essere una persona estremamente fortunata. gli amici, quelli veri, per me
esistono. ci sono sempre, gli stessi dall infanzia, pubertà, adolescenza. qualcuno è arrivato
poi, cammin facendo.
legàmi nati in aule scolastiche, nei campi di gioco, viaggiando. frequentando ambienti
esterni alla nostra quotidianità, ma anche nella vita di tutti i giorni.
le amicizie, come gli amori, del resto, càpitano, non si programmano.
è il bello della Vita, il sale di essa. ci vuole soltanto la predisposizione ad accettarli.
nei miei viaggi, catalogavo le persone. nelle sale d imbarco dei voli distinguevo la gente in
due categorie: quelli cui mi sarei seduto volentieri di fianco, e gli altri. nella prima
entravano, di diritto, le ragazze carine, seguite da giovani, per finire con gli uomini in
genere. no, non sono misogeno, tutt altro, ma dato che chiedevo sempre posto corridoio, le
donne, tra pipì, trucco, lavare i denti, salutare l amica due file indietro, "ma il panino, non c
è integrale ?", rifare pipì, "ma no, la coca la volevo light", comprare il profumino per
mamma al carrello del duty free... insomma, ci siamo capiti.
la malattia ha contribuito, nel disastro e lo sfacelo provocato al mio corpo, a rinsaldare
amicizie da tempo sopite, nonchè a crearne di assolutamente nuove, tramite social
networks ma non soltanto.
ho avuto il piacere di scoprire persone inaspettatamente meravigliose, che difficilmente
avrei potuto altrimenti conoscere.
si sono aperte a me, come al più intimo degli amici, gratificando oltremodo il mio ego per il
privilegio concesso.
da consolato a consolatore, passando tra sghignazzate a pianti dirotti, tra vecchi amori e
lavoro perduto, tra amicizie comuni insospettate e ricette di cucina.
rigraziare il Signore per avermi dato la malattia, francamente mi sembra (per ora)
esagerato, ma lo faccio per avermi fatto conoscere tante persone straordinarie, Aiste in
primis.
ho smesso di pormi la domanda: ma le avrei conoscute ugualmente, se fossi stato sano ?
avrò la risposta quando, finalmente guarito, incontrerò, una ad una, coloro i quali mi hanno
aiutato in maniera così determinante in questa impresa.
se mi accettetteranno, significherà che tante notti, giorni, ore passate in chat, io lottando in
modo impari con le bizze del comunicatore, loro tentando di decifrare i miei geroglifici,
saranno semplicemente stati soltanto i presupposti per splendidi nuovi rapporti.
non credo di dire una eresia, affermando che saranno relazioni vere, sincere, poichè nate
da necessità reali di confronto tra esseri umani, bisognosi solamente di conferme e
certezze, e non di materialità che, spesso, costituisce l elemento caratterizzante delle
amicizie createsi convenzionalmente, in modo "fisico".
da ultimo, ma non meno importante, anzi, vorrei fare un enorme "in culo alla balena" ad un
amico che, come me, sta lottando per una vita più serena. forza, lo sconfiggerai, tanto
quanto il topolino. ci siamo promessi un infinito abbracione e una corsetta per "cavdagne".
siamo o non siamo uomini di parola ?
P. S. Acio, ti saluto utilizzando le parole di Filippo: "se ne è andato un grande".
credo che sia la frase più preziosa e commovente rivolta ad un padre.
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