lunedì 26 agosto 2013

Papà.

Papà.

te ne sei andato undici anni fa. ma il "magone" rimane. certo, attenuato dagli anni, ma è un buco difficile da colmare.
mi domando spesso come ti saresti comportato di fronte alla "stronza".  
ricordo quando, da piccolo, Luca ed io giocammo, in camera, a pallacanestro. il canestro era una lattina di caffè vuota appoggiata a terra. allora le lattine non avevano l apertura a strappo, come oggi, ma si aprivano con l apriscatole. e il bordo, una volta aperta, appariva più frastagliato di un fiordo norvegese.
"l è mia, l è tua", non so ancora oggi come, mi ritrovai con il "canestro" conficcato bellamente quanto profondamente nella rotula destra.
andai in bagno, tentando di celare l accaduto ai genitori. mi tolsi la lattina (dolore!) e mi misi sul bidet, ma lo zampillo di sangue che fuoriusciva dal ginocchio era talmente forte che, in breve, il bagno si trasformò nella "piccola bottega degli orrori".
mamma arrivò, comandata da quel sesto senso che solo le mamme hanno, o forse dal silenzio calato all improvviso in casa. vide il fiotto uscire dal mio ginocchio, e tentò di fermarlo tamponandolo con alcune garze, chiamandoti.
ora io non so se fosse perchè svegliato all improvviso dal "pisolino" che eri solito fare dopo pranzo (dieci minuti per te più sacri di qualunque dogma religioso), o perchè la vista del sangue fosse altamente nociva alla tua salute, fatto stà che se mamma non ti avesse sostenuto saresti caduto svenuto come neppure il miglior Nedved (juventini, tiè) avrebbe saputo fare.
ma la "stronza" è diversa. niente sangue, non preoccuparti.
soltanto un infinito, continuo, indecifrabile peggioramento che soltanto avendola puoi conoscere.
tu avresti capito subito dalle "fascicolazioni" che cominciavano a devastarmi i muscoli, prima solamente accennate, poi visibili ad occhio nudo, infine talmente evidenti da non lasciare alcun dubbio anche al più ottimista dei medici.
tu mi avresti accompagnato, pur non sopportando l aereo, anzichè a Bologna e Milano, a New York  e Gerusalemme, perchè ti saresti informato (non tramite internet, che già per convincerti che i computers avrebbero sostituito il tuo fido telex ci volle più di un anno), contattando il tuo amico dottor Bertuzzi, perchè ti fidavi solo di lui.
non ti saresti arreso tanto facilmente. come, d altronde, non ho fatto e non sto facendo neppure io.
ecco, ho trovato un punto d incontro con te. entrambi non avremmo mollato.
soltanto che per te era una legge di vita.
a me c è voluta la peggior malattia.  
la notte precedente a quando te ne sei andato, ti ho scritto una lettera.
non ce l ho fatta a leggertela, quando sono venuto, di buon mattino, in ospedale.
eri troppo impegnato a morire.
e volevi che io fossi lì, al tuo fianco, mentre te ne andavi. non ho mai capito se fosse stato un privilegio o una condanna.
certo che è stata dura correre in corridoio, chiamare il primario, guarda caso il tuo amico dottor Bertuzzi, e rientrare con lui in camera, per sentirlo ripetere:"non abbiamo capito, non abbiamo capito". e mentre chiedevo "cosa?", lui, impassibile, da bravo medico, ma da pessimo amico, mi rispondeva "sta morendo", quando, il giorno precedente, mi spiegava le cure che ti avrebbe suggerito.
di certo non colpevolizzo il professore, ma me la prendo con una malattia che, solo dopo un autopsia più che accurata, fu scoperta essere come rarissima, tipo soltanto duecento casi nel mondo.
sei stato migliore di me anche lì, papà. io ho una semplice Sclerosi Laterale Amiotrofica, un caso ogni cinquantamila persone...  
ho aspettato undici anni per scriverti ancora. e utilizzo un blog e facebook e twitter su internet per farlo.
mi rendo conto che sperare che tu abbia fatto un corso lassù per saperli usare è come credere che gli asini possano volare... ma non sei mai stato capace di startene con le mani in mano, quindi...
e in ogni caso, preparati, perchè tra un pò arrivo e ti insegno io. o, se le cose mi andassero bene quaggiù, magari non aspetterò undici anni per scriverti ancora...




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